“IO SONO LA VITE, VOI I TRALCI”
Dopo aver affermato di essere il “Buon Pastore”, Gesù utilizza una seconda immagine, quella della vite, per indicare con un simbolo la propria identità. Gesù qualifica se stesso come la vite, quella vera, e identifica il nuovo Israele, la Chiesa, come i suoi tralci. Se siamo uniti a Lui la nostra vita è feconda e porta frutti, se invece siamo distaccati da lui siamo come rami secchi e infruttuosi, destinati al fuoco.
Le parole di Gesù sono categoriche: “Senza di me, non potete far nulla!”. Non dice che faremo cose male o a metà, ma che non faremo proprio nulla. Quindi possiamo correre dalla mattina alla sera, fare mille cose, impegnarci lodevolmente in molte attività, ma se tutto questo è fatto senza di Lui, è sterile, vuoto, insignificante.
La vite, simbolo di benedizione, felicità e fecondità, è così attribuita da Gesù a sé e ai suoi discepoli, per mostrare che rimanendo in Lui i frutti saranno abbondanti, ogni richiesta sarà esaudita, perché corrispondente alla volontà del Signore, e si verrà innestati nella stessa vita divina (Vangelo).
E’ quanto afferma, in altri termini, San Giovanni apostolo, che, nel testo della seconda lettura, sostiene che “qualunque cosa chiediamo, la riceviamo dal Signore, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito” (2^ lettura).
Il primo frutto che la Parola di Dio identifica nella prima comunità cristiana, quella descritta da Luca nel libro degli Atti, è una profonda unità di cuore e d’intenti: lo stesso apostolo Paolo è cosciente di dover essere in comunione con gli altri discepoli, perché il messaggio pasquale del Cristo che lui stesso annuncia possa essere autentico e trovare dimora nel cuore di tante persone chiamate alla fede in Cristo (1^ lettura).
don Francesco, vostro parroco