Facilissimo sentirlo tra il vociare dei nostri mondi, questo slogan è uno dei più sdoganati. Mentre ci si nasconde all’ombra di una fredda retorica, cresce a dismisura un razzismo peloso sempre più infido.
Nei confronti di tutti. L’importante – per il razzista medio – è stare nel gruppo, dove mostrarsi intollerante diventa un’ancora di salvezza una prova di coraggio e di autonomia.
Il contagio ormai dilaga vertiginosamente; poco importa se le parole offendono, se le notizie non sono attendibili, se i racconti non trovano fonti: l’importante è partecipare, e così sentirsi importanti, osservati, adulati.
Due mondi stanno diffondendo il contagio in modo pericoloso e perfido: gli adulti e i social.
Sì, il mondo adulto ha esasperato gli animi riversando sui giovani tutto il possibile: parlar male degli altri, deridere chi la pensa in modo diverso, denigrare per il colore della pelle, fregarlo, sta diventando un fatto di moda. Se poi a farlo è un politico o un amministratore, l’effetto diventa più dirompente.
A rendere le cose più drammatiche ci pensa la rete: i social diventano il luogo preferito per lanciare e linciare, per colpire e coprire.
Come salvarsi? Imparando ad usare il cervello più che la pancia, e il pensiero più che il torpore.
Centro per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso – Trento 2017