Ci siamo scambiati per secoli accuse di reciproca infedeltà, denigrandoci l’un l’altro in malafede. Ma ce cosa significa realmente infedele? O, meglio, infedele verso chi?
Se c’è una parola che fa rima con religione, è proprio fedeltà. Perché un credente, ogni credente, si ritiene soprattutto tale, ovvero un buon fedele. Fedele ad una promessa, fedele a un comandamento. Fedele a un patto. Fedele a un Libro.
E non si può certo dire che ebrei, musulmani, cristiani, ma anche buddisti e induisti non siano fedeli: trasformano le loro vite, le loro azioni, i loro pensieri, proprio in nome di ciò! Altro che infedeli!
L’equivoco, spiacevole, nasce sovente dalla nostra costante perplessità nel considerare gli altri credenti come autentici credenti, osservanti seri, veri fedeli. Addirittura da rispettare, anziché biasimare; persino da stimare. Tutti servi che facciamo fatica a cogliere, perché in fondo il nostro egocentrismo del sacro è sempre più forte di qualsiasi altra nostra buona qualità.
Perché piuttosto non rallegrarci allora per tutti gli esempi di fedeltà che incontriamo? Perché non impariamo ad imitarli, gareggiando nel fare tutto il bene possibile, anziché osteggiare gli altri in nome di ambiguità che non portano a nulla se non a dissidi e a insensati conflitti?
Centro per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso- Trento 2017