“Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18,36)
La regalità di Cristo non è di questo mondo, non è interpretabile con argomenti di potere e di dominio umano. Una regalità difficile da comprendere, fatta di martirio e di dolore; “Ecce homo!”
Come fidarsi, come pensare che il gregge si possa salvare se il suo pastore è condannato a morte?
Un solo Signore, un solo Dio, Padre di tutti, che unisce un nuovo popolo in un solo battesimo, è comprensibile solo se si riesce a partire da questa verità: un Dio che si fa carne, e carne sofferente, può essere scandalo per gli ebrei, stoltezza per i pagani ma per chi crede è salvezza.
La corona di spine, la croce, sono il segno della sua partecipazione al dolore del mondo: il re è posto dinanzi, sta prima degli altri per dichiarare il proprio amore. Non così i re della terra che il più delle volte nel momento del pericolo abbandonano alla sofferenza e alla violenza il loro popolo.
Il nostro re non è solo un eroe, è il Figlio di Dio che dà la vita: se Dio in Cristo ci fa da guida, potremmo avere più fiducia, potremmo avere più entusiasmo rispetto all’esistenza.
Ritornare a Cristo, Re dell’universo, non è soltanto tornare all’osservanza della pratica religiosa, per l’uomo di fede è una necessità salvifica che non riguarda solo il tempo futuro ma il presente. È una ricerca di significato da consegnare alla vita.
don Walter, vostro parroco.