“Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria?” (Mc 6,4)
I coetanei di Gesù, che col tempo si erano sposati e avevano messo al mondo dei figli, saranno stati i primi testimoni della sua particolare scelta di vita: andare ad annunciare il Vangelo.
Non tutti lo avranno capito… ma la missione intanto era iniziata.
Era difficile far accettare la sua parola a quanti lo conoscevano dalla nascita, perché la profezia è ritenuta sempre qualcosa che nasce altrove.
Di profeti mancati nella storia ce ne sono stati tanti, perché spesso per pudore è difficile annunciare in casa propria ciò in cui si crede, tuttavia “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10).
Proprio la debolezza, la difficoltà di proclamare la verità di Cristo in un mondo profondamente cambiato e indifferente alla proposta cristiana, può provocare straordinarie opportunità di incontro. La debolezza può perfino sprigionare la forza di inventare parole nuove da poter gridare nell’indifferenza degli uomini, a condizione però di non voltare le spalle proprio a quel mondo che rifiuta il Vangelo, di non scoraggiarsi dinanzi all’insuccesso.
Il mondo è patria di ogni uomo e la profezia è data perché il mondo si salvi, anche se considera straniero in casa propria chi si differenzia e si allontana dal ritmo vertiginoso della sua proposta effimera.
Se il profeta non è accolto, responsabile è chi nega la verità della sua parola, ma la speranza di chi annuncia va oltre la resistenza di chi la rifiuta.
don Walter, vostro parroco.