“Se vuoi puoi guarirmi!” (Mc 1,40-45)
Ieri come oggi, di fronte ai mali che affliggono il mondo, pensiamo di evitarli cercando di anestetizzare la verità, di impedirne il percorso facendo diga alla compassione possibile.
Altra lebbra, nuovo dolore si affaccia all’orizzonte della storia. Benché consapevoli che siamo tutti parte di una stessa famiglia, benché coscienti che nulla è dato o tolto senza che qualcun altro, in qualsiasi parte della terra, ne abbia vantaggio o danno, continuiamo a credere che di poter evitare la sofferenza ignorando quella degli altri.
Il lebbroso supplicava in ginocchio il Maestro di liberarlo: il gesto oltrepassa la storia del sofferente, il dramma della sua condizione. Sono ancora in ginocchio i poveri della terra che, soffrendo violenza ed abbandono, chiedono di non essere dimenticati; sono in ginocchio i poveri delle nostre città, che afflitti dal quotidiano, mortificati nella loro dignità, sono anch’essi costretti a vivere alla periferia delle nostre comunità; sono in ginocchio i tanti giovani frustrati dalla mancanza di avvenire, spesso vittime di un sistema che dà spazio non a chi merita, ma a chi ha più raccomandazioni.
“Lo voglio, guarisci!”. La parola del Maestro sconfigge la malattia. E’ del discepolo di Cristo appropriarsi di quella parola di guarigione, è della Parola stessa il desiderio di essere ancora gridata. Vana sarebbe la nostra fede se a noi non fosse ancora sconosciuta la forza dell’amore, se, per mancanza d’amore e di compassione del mondo, il lebbroso non riuscisse ad uscire dal lazzareto, il povero dalla solitudine, l’abbandonato dalla ristrettezza.
Don Walter, vostro parroco